Ecotassa, studio Adoc: perché è inefficace e quali sono i veri incentivi

In questi giorni si sta discutendo molto della possibilità di introdurre una c.d. ecotassa, basata su un meccanismo “bonus-malus” in base al quale è prevista un’imposta crescente da 150 euro fino a 3.000 euro, a carico del consumatore, per l’acquisto di un’auto nuova con emissioni di CO2 superiori ai 110 grammi per km e, al contrario, incentivi da 1.500 a 6.000 euro, in questo caso a favore del consumatore, per l’acquisto di modelli con emissioni tra 0 e 90g CO2/km, sostanzialmente per l’acquisto di auto ibride plug-in (o PHEV) e auto elettriche.

Per quanto sia non solo fondamentale ma anche urgente trovare soluzioni all’inquinamento atmosferico e quindi virare con forza verso una mobilità sostenibile ai fini di una migliore qualità dell’aria che respiriamo ogni giorno, come Adoc non valutiamo con favore l’applicazione di un malus all’acquisto, che anzi riteniamo completamente inefficace, iniquo e inutile ai fini della tutela dell’ambiente. E, ad ogni modo, prevedere un solo incentivo economico all’acquisto non è comunque sufficiente per risolvere definitivamente il problema.

L’INEFFICACIA DELL’ECOTASSA E DEGLI INCENTIVI

Innanzitutto partiamo da un’analisi della situazione attuale del parco vetture in Italia. Oggi è costituito da circa 38 milioni di auto, di cui poco meno del 70% (ossia 26 milioni) da auto Euro 4, 3, 2, 1 o zero, le più inquinanti. E il tasso di motorizzazione privato è aumentato nell’ultimo anno dello 0,8% (passando dal 58,5% al 59,3%) secondo il rapporto Euromobility 2018, facendo allontanare sempre di più l’Italia dalla media europea di circa 49,8 auto ogni 100 abitanti. Sempre più spazio delle nostre città è occupato dalle auto, testimoniato anche dal contemporaneo aumento della densità di veicoli, cioè il numero di autovetture per ogni kmq di territorio, che passa da 807 a 817 auto per kmq. E nonostante continuino a migliorare gli standard emissivi dei veicoli, con una crescita di autovetture Euro 6, nel 2017 si è registrato un leggero peggioramento della qualità dell’aria nelle nostre città.

Ma se volessimo applicare gli incentivi proposti quante vetture si riuscirebbe a cambiare?

Primo punto, le case produttrici non pronte lato offerta a soddisfare le richieste. Oggi il numero di auto acquistabili con incentivi sarebbe inferiore al 10% dell’intera offerta, e quelle con un prezzo quantomeno accessibile, inferiore ai 28-30mila euro sono appena l’1%. Troppo poche per bilanciare la domanda attuale. Similarmente, anche l’offerta di modelli ibridi/elettrici nei noleggi a lungo termine (una modalità di “acquisto” dell’auto sempre più diffusa anche tra i privati, non solo tra professionisti) è attualmente limitata e i costi rimangono mediamente più alti del 20% rispetto allo stesso modello con alimentazione benzina o diesel.

Secondo punto, con l’attuale formulazione gli incentivi non prevedono alcun discrimine in base al reddito e al potere d’acquisto dell’acquirente, né limitazioni sul tipo di vetture. Questo comporta che chi è in grado di poter acquistare un SUV ibrido plug-in da un costo superiore a 50mila euro potrà facilmente avvantaggiarsi dell’incentivo mentre un semplice lavoratore di una famiglia a medio reddito, con potere d’acquisto contenuto, avrà molte più difficoltà ad utilizzare il bonus, considerando che mediamente una vettura PHEV costa 10mila euro in più dello stesso modello a benzina e che per un’auto elettrica non si scende da un minimo di 35mila euro.

In questo senso crediamo sia opportuno adottare tre accorgimenti per allargare la platea di possibili acquirenti e di non discriminare:

  • Prevedere incentivi proporzionati al reddito dell’acquirente o del nucleo familiare in caso di acquisto di un’auto nuova senza permuta dell’usato.
  • In caso di permuta dell’usato prevedere incentivi scalari legati al modello dell’auto che si sostituisce: più questa è vecchia maggiore è lo sconto previsto. Ricordiamo che le Euro 0 o 1 sono più inquinanti di un Euro 4, occorre favorire lo smaltimento dei modelli più datati.
  • Sbarrare il bonus per i modelli di auto con un costo superiore a 40mila euro.

IL VERO INCENTIVO È ELIMINARE L’IVA

Se gli incentivi non sono sufficienti a rinnovare sensibilmente il parco vetture e presentano forti carattere di discriminazione, come è possibile stimolare la domanda? A nostro avviso la misura fiscale più efficace, più equa e più lungimirante è quella dell’eliminazione dell’Iva sull’acquisto di auto elettriche o ibride plug-in. Innanzitutto si avrebbe un concreto e proporzionato risparmio a favore degli acquirenti, anche quelli meno abbienti. Ad esempio, su un modello ibrido PHEV dal costo di 35mila euro, il risparmio salirebbe da 3.000 euro (incentivo proposto) a 7.700 euro (con eliminazione IVA), quasi 5.000 euro di risparmio. Inoltre si avrebbero comunque entrate per lo Stato attraverso le imposte e si rafforzerebbe il settore con maggiore occupazione nei settori della produzione, distribuzione e manutenzione.

CHI INQUINA PAGA, MA NON SIANO I CONSUMATORI

Come detto, siamo contrari ad ogni forma di tassazione che vada a colpire indiscriminatamente i consumatori. Piuttosto sarebbe opportuno prevedere un “malus” a carico di chi inquina, secondo il principio del Polluter Pays Principle. Stiamo parlando dei produttori. Tutti noi ricordiamo lo scandalo Dieselgate e le falsificazioni sulle emissioni delle auto immesse in commercio. Così come ricordiamo la totale assenza di sanzioni e risposte in merito in Italia e in Europa. Se le case automobilistiche hanno prodotto, e continuano in larga parte a produrre modelli inquinanti, perché deve rimetterci il consumatore che ha a disposizione un ventaglio molto limitato di scelte? Ad esempio, potrebbe essere prevista l’applicazione di una “tassa” a carico dei produttori per ogni singolo modello immesso in commercio con emissioni superiori a 110g CO2/km, pari ad una percentuale compresa tra il 2 e il 5% del valore di mercato dello stesso modello e da non riversare sul prezzo finale al consumatore, che confluiscano in un Fondo pubblico ad hoc da utilizzare per finanziare lo sviluppo di strutture e infrastrutture di mobilità sostenibile. Oppure si potrebbe obbligare le case produttrici a produrre una certa percentuale di vetture ibride ed elettriche proporzionali al numero totale di vetture immatricolate ogni anno.

Sul lato emissioni e inquinamento, inoltre, va considerato un aspetto fondamentale: le emissioni dipendono da quanti chilometri si percorrono. Sarà più inquinante chi con un’auto ibrida plug-in con emissioni pari a 90g di CO2/km percorre 30.000 km in un anno o chi, con un’auto a benzina Euro 6 ne percorre meno di 5.000? Prevedere un malus all’acquisto esclusivamente basato sulle emissioni di CO2 da “listino” a nostro avviso è iniquo e discriminante. E non risolve affatto il problema dell’inquinamento.

SENZA INFRASTRUTTURE NON SI CREA LA DOMANDA

Se si vuole favorire la diffusione di auto elettriche o ibride plug-in occorre anche preliminarmente incrementare le infrastrutture di ricarica a disposizione. In Italia oggi sono presenti 4.207 colonnine di ricarica in 2.108 postazioni, una ogni 14.388 abitanti. Troppo poche e poco distribuite, è impensabile chiedere ai consumatori di virare sull’auto elettrica quando è impossibile utilizzarla. Servono maggiori e continue agevolazioni fiscali non solo per la diffusione delle stazioni di ricarica sulla rete stradale, autostradale e nei parcheggi di scambio o di lunga sosta, ma anche per l’acquisto delle colonnine da parte dei privati, sia singolarmente che come condomini (le c.d. wallbox), eliminando il loro assoggettamento alla tariffa «altri usi», molto più onerosa rispetto a quella domestica. Ovviamente l’alimentazione delle colonnine deve provenire da fonti di energia rinnovabili, come il fotovoltaico e l’eolico, in modo da essere ad impatto zero e completamente autonome. Altrimenti è come un cane che si morde la coda: non inquiniamo con l’auto elettrica, ma con l’energia necessaria per la ricarica. Non avrebbe alcun senso.

L’INQUINAMENTO SI BATTE CON LA MOBILITÀ ALTERNATIVA E SOSTENIBILE

Al di là degli incentivi, se si intende realmente affrontare concretamente il problema dell’inquinamento e della qualità dell’aria occorre prevedere agevolazioni e investimenti nello sviluppo di soluzioni di mobilità alternativa. I consumatori si rivolgono sempre più spesso a soluzioni alternative come il car sharing e il bike sharing.  Sono difatti in aumento (+18%) il numero di auto impiegate nei servizi di car sharing, mentre aumentano del 4% le bici del bike sharing, sempre secondo il rapporto Euromobility 2018. Se inoltre il trasporto pubblico, locale e non, fosse più efficiente, capillare e accessibile, con un numero maggiori di hub di scambio, alimentato interamente ad elettricità, siamo convinti che almeno il 30-40% dei cittadini che oggi sono “costretti” ad utilizzare la propria auto per gli spostamenti cambierebbe idea e opterebbe per la soluzione pubblica.

LA PRIMA CAUSA DELL’INQUINAMENTO? IL RISCALDAMENTO DEGLI EDIFICI

È bene comunque sottolineare che l’inquinamento prodotto dai trasporti sia di molto inferiore a quello generato dagli impianti termici per il riscaldamento degli edifici, che inquinano fino a sei volte di più dei trasporti su strada. Secondo un’elaborazione dell’Osservatorio Autopromotec dello studio realizzato dal Politecnico di Milano sull’impatto sulla qualità dell’aria urbana, da parte delle principali fonti di inquinamento, il contributo fornito dal settore del riscaldamento da edifici all’inquinamento atmosferico in termini di emissioni di CO2 è pari in media al 64,2% del totale delle emissioni stimate, contro il 10,2% proviene dal settore mobilità e dei trasporti motorizzati[1]. Va bene quindi interviene sul lato trasporti e svecchiare il parco vetture circolanti, ma se non si adottano strategie concrete, urgenti e di ampio respiro sulla riqualificazione energetica delle case ogni discorso in merito al contrasto ai cambiamenti climatici e all’inquinamento risulta incompleto.

 

[1] Fonte: articolo “Addio vecchie caldaie (e non solo). Per ridurre l’inquinamento bisogna puntare sulle case” su Valori.it a cura di Elisabetta Tramonto