Nelle ultime settimane tiene banco la questione del packaging del cibo. Le aziende ormai fanno tantissima attenzione alle contaminazioni batteriche del cibo nei loro stabilimenti, ma la stessa premura non è riposta al confezionamento, che – dai risultati di alcune analisi condotte dal The Guardian – rilascerebbero nel prodotto sostanze potenzialmente dannose per la salute dei consumatori.
Una delle tante questioni che in Italia va avanti da tantissimi anni è quella legata al cartone utilizzato per la pizza da asporto. Situazione portata nuovamente alla luce da un’inchiesta de Il Salvagente e riproposta anche da Agi (Agenzia Giornalistica Italia) in cui è stato dimostrato, in 2 cartoni su 3, l’elevata presenza di Bisfenolo A (abbreviato in BPA). Quest’ultimo è una molecola fondamentale nella sintesi di alcune materie plastiche e di alcuni additivi e, oltre una certa soglia, può alterare lo sviluppo e l’equilibrio del sistema ormonale, andando ad incidere sulla fertilità.
Il problema di fondo sulla questione BPA è che tali quantità sarebbero vietate per legge se i contenitori fossero in plastica; trattandosi di carta, non esiste alcuna legge che li regola e quindi ci troviamo, in tal senso, in una sorta di vuoto normativo.
Nonostante le pressioni dell’Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa) per la messa al bando di questo composto, il Parlamento europeo e la Commissione Envi hanno semplicemente abbassato i limiti consentiti per legge, portando a zero la soglia soltanto per gli involucri degli alimenti destinati ai bambini. Ma dall’inchiesta non è tutto: è emerso che quei cartoni sono prodotti utilizzando carta riciclata, vietata per legge. Con la Direttiva 2004/14/CE della Commissione del 29 Gennaio 2004, infatti, i contenitori per la pizza dovrebbero essere prodotti utilizzando solo cellulosa vergine.
Secondo la Direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione, in Italia “l’uso di carta riciclata nei cartoni per pizza d’asporto è vietato”. In questo scenario emerge l’assenza di una norma armonizzata nell’Unione europea su questo settore che solo in alcuni Stati Membri è regolamentata da disposizioni sanitarie. Infatti a partire dal 1973 il ministero della Sanità aveva disciplinato i materiali ed oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti (MOCA) stabilendo per le carte e cartoni requisiti specifici e limitazioni d’uso.
In Italia l’uso di carte e cartoni di riciclo è consentito soltanto per alcuni tipi di prodotti alimentari, i cosiddetti “solidi secchi” (sale, zucchero, riso, pasta secca etc.), tra i quali non rientra la pizza”. Ma il problema non riguarda soltanto il BPA: già in uno studio di diversi anni fa, condotto dall’Università di Milano, era stato appurato che la metà dei contenitori utilizzati, sottoposti ad una temperatura di 60°, ovvero la temperatura raggiunta dai cartoni quando entrano in contatto con la pizza calda appena sfornata, rilasciano grandi quantità di diisobutilftalato (Dipb) e di naftaleni, tutte sostanze tossiche e dannose per la salute qualora riuscissero veramente a migrare dal contenitore al cibo.
La prima inchiesta sui cartoni della pizza riciclati risale al lontano 2006, condotta da Il Salvagente: a distanza di 13 anni, possiamo tristemente constatare che la situazione è rimasta quasi immutata. La soluzione per le aziende produttrici potrebbe essere quella di inserire una barriera, ad esempio un foglio di Cellophane, tra il cartone e la pizza, in modo tale da ostacolare e rendere più difficile il processo di migrazione di queste sostanze tossiche. Ma, come introdotto in apertura, il discorso riguarda in linea più generale il packaging dei prodotti, dai barattoli in alluminio ai contenitori in plastica per frutta e verdura passando per i bicchieri di plastica che spesso usiamo per il caffè.
Tornando alle analisi del The Guardian, le precauzioni da prendere per ovviare al problema sono molteplici, ma spesso poco chiare agli occhi dei consumatori. Nel caso dei barattoli in alluminio, ad esempio, la raccomandazione è di prendere quelli la cui etichetta riporta la dicitura “BPA FREE”, ovvero privi di Bisfenolo A; la cosa migliore, comunque, sarebbe di evitare completamente l’alluminio e prendere soltanto contenitori in vetro. Nel caso del packaging di plastica per frutta e verdura, invece, si suggerisce di optare per gli alimenti privi di confezionamento, perché il materiale dell’involucro potrebbe contenere ftalati, un altro interferente endocrino.
Più particolare è la questione legata al caffè: la plastica del bicchiere, a contatto con il liquido caldo, rischia di cedere sostanze chimiche alla bevanda, contaminandolo con sostanze potenzialmente dannose per la salute. Anche in questo caso, il consiglio è quello di eliminare totalmente la plastica e consumare il caffè in un contenitore di vetro; se da asporto, invece, allora il suggerimento è di usare un thermos non in plastica.
In conclusione, il discorso sul confezionamento è molto delicato e sarebbe opportuna una premura maggiore da parte delle aziende produttrici. L’Adoc sul punto si impegna a condurre una campagna di sensibilizzazione verso i consumatori sul consumo dei cibi non correttamente confezionati, anche attraverso iniziative di educazione alimentare che partiranno dal mese di settembre in diverse scuole del comune di Torino.
Per ogni altra informazione Adoc Piemonte è disponibile all’indirizzo torino@adocpiemonte.it o presso la sede regionale di Torino, Via Parma 10.
Articolo a cura di Silvia Cugini, Presidente Adoc Piemonte